
Pratiche di urban commoning per l’economia locale. La ricerca per un Osservatorio delle comunità localizzate nell’area urbana napoletana
Descrizione del progetto
I commons urbani possono essere considerati come dispositivi utili ad interpretare e soddisfare bisogni sociali. Il motore che ne è alla base, identificato dalla comunità, è attivato dalle relazioni sociali che la compongono. Il dispositivo si attiva, solitamente, intorno ad una risorsa, in questo caso, uno spazio urbano, ad esempio, un immobile abbandonato, ma anche uno spazio verde lasciato incolto. Esso è reso funzionante ad opera di una comunità, formata, in genere, da gruppi di persone residenti, che decide di auto-organizzarsi (ma anche di auto-regolamentarsi) per usare la risorsa senza consumarla.
Alla realizzazione ed al riconoscimento delle pratiche di commoning, concorrono, in un sistema di governance collaborativa, nel caso Napoli, gli attori del Comune, ovvero l’Assessorato all’Urbanistica e ai Beni Comuni e l’Osservatorio sui Beni Comuni e la Democrazia Partecipativa e, di volta in volta, le singole comunità. Ovviamente, in tale contesto potranno aversi notevoli diversità, che a vario livello definiranno le specifiche comunità dei commons, caso per caso. Nei tempi più recenti, alcune di queste pratiche sono state incluse in progetti più ampi di rigenerazione urbana. In questi casi, si è aperto un intenso dibattito in materia di valutazione di impatto e di analisi del risultato delle attività poste in essere dalle comunità dei commons.
In questo ambito, le nostre ricerche hanno evidenziato un ampio bisogno di aggiornare le conoscenze che la dottrina ha finora fornito, innanzitutto per riuscire a rilevare il contributo delle variabili qualitative (fiducia, reciprocità, dono, partecipazione), sia per arrivare a stabilire categorie di valutazione omogenee e condivisibili tra gli attori della governance del progetto.
I commons urbani possono essere considerati come dispositivi utili ad interpretare e soddisfare bisogni sociali. Il motore che ne è alla base, identificato dalla comunità, è attivato dalle relazioni sociali che la compongono. Il dispositivo si attiva, solitamente, intorno ad una risorsa, in questo caso, uno spazio urbano, ad esempio, un immobile abbandonato, ma anche uno spazio verde lasciato incolto. Esso è reso funzionante ad opera di una comunità, formata, in genere, da gruppi di persone residenti, che decide di auto-organizzarsi (ma anche di auto-regolamentarsi) per usare la risorsa senza consumarla.
Alla realizzazione ed al riconoscimento delle pratiche di commoning, concorrono, in un sistema di governance collaborativa, nel caso Napoli, gli attori del Comune, ovvero l’Assessorato all’Urbanistica e ai Beni Comuni e l’Osservatorio sui Beni Comuni e la Democrazia Partecipativa e, di volta in volta, le singole comunità. Ovviamente, in tale contesto potranno aversi notevoli diversità, che a vario livello definiranno le specifiche comunità dei commons, caso per caso. Nei tempi più recenti, alcune di queste pratiche sono state incluse in progetti più ampi di rigenerazione urbana. In questi casi, si è aperto un intenso dibattito in materia di valutazione di impatto e di analisi del risultato delle attività poste in essere dalle comunità dei commons.
In questo ambito, le nostre ricerche hanno evidenziato un ampio bisogno di aggiornare le conoscenze che la dottrina ha finora fornito, innanzitutto per riuscire a rilevare il contributo delle variabili qualitative (fiducia, reciprocità, dono, partecipazione), sia per arrivare a stabilire categorie di valutazione omogenee e condivisibili tra gli attori della governance del progetto.
Dal punto di vista degli obiettivi e dei risultati/impatti conseguiti o conseguibili dall’azione dei commons urbani, come è noto, è stato finora possibile organizzare l’analisi sui due livelli, quello micro ed il macro.
Ad un livello di singola comunità, è possibile individuare Comunità che «bloccano», «potenziano» o che «riconoscono» l’azione individuale. In corrispondenza, è possibile anche aprire un interessante orizzonte di ricerca teorica, segnato da una nuova microeconomia di comunità, passaggio che si sostanzia procedendo dall’idea tradizionale del Valore-Utilità verso quella del Valore-Identità. Laddove, la microeconomia di comunità, tradizionalmente, focalizza l’attenzione all’analisi delle dinamiche alla base della scelta di adesione del singolo al gruppo.
In termini più aggregati, ci siamo interrogati su come sia possibile il passaggio dal vantaggio/svantaggio dell’adesione a livello micro, verso una lettura che ne riscontri gli effetti in un contesto più ampio. Ovviamente, anche se non in maniera diretta, diverse risposte sono possibili a seconda del contesto di analisi in cui si decide di spingere l’osservazione. Ma è chiaro che anche a tale livello è possibile parlare di città che «bloccano», «potenziano» o che «riconoscono» l’azione di Comunità.
A tale livello, ci sono i lavori che hanno focalizzato l’attenzione alla dinamica «relazioni sociali-risultati». Qui, le argomentazioni alla base delle accezioni positive del concetto stesso di comunità emergevano dalla letteratura sul capitale sociale. Laddove si argomenta che i legami sociali basati sulla fiducia costituiscono le fondamenta delle reti sociali e della vita associativa. Questi legami hanno effetti positivi sullo sviluppo economico e sociale. Le comunità si instaurano per incoraggiare la partecipazione, generare forme di reciprocità che legano gli individui alla società, insegnano la mediazione ed a smussare i conflitti.